giovedì 17 febbraio 2011

Il Condensatore dei Toni

Nello scasso dei potenziometri della chitarra alloggia un piccolo condensatore: è la parte più piccola del nostro strumento.
Per valutare una chitarra con cura è senza dubbio fondamentale soffermarsi ad analizzare con attenzione legni, pickup e hardware, tuttavia anche questo piccolo componente è di importanza tutt’altro che irrilevante.
Il condensatore ha la funzione di interagire con il potenziometro dei toni per creare un filtro che lascia passare le basse frequenze tagliando i toni alti man mano che la manopola viene chiusa. Il valore di capacità del condensatore, misurato in microfarad (ovvero milionesimi di Farad, o uF), determina la soglia al di sopra della quale le frequenze vengono tagliate.
La regola pratica è che i condensatori con capacità maggiore hanno una soglia più bassa e tenderanno cioè a tagliare un maggior numero di frequenze alte creando un suono più cupo quando il potenziometro viene chiuso; al contrario i condensatori con un valore di capacità inferiore tagliano solo frequenze più alte e permettono di ottenere un suono più brillante anche con manopola dei toni quasi chiusa.
I condensatori usati nei circuiti del tono delle chitarre hanno valori solitamente compresi tra gli 0,02 ed i 0,05 uF: ad esempio le Gibson (Les Paul, 335 e derivati) montano condensatori del valore di 0,022 e le Fender sono dotate di condensatori di 0,047 uF.
Questo perché solitamente le chitarre Fender hanno acuti più taglienti rispetto alle Gibson e dunque quando si agisce sulla manopola dei toni necessitano di un taglio di frequenze più drastico.
condensatori
I condensatori recano anche un valore espresso in Volt che indica la tensione che il componente è in grado di sopportare; questo valore però è trascurabile nel circuito dei toni di una chitarra elettrica, dove la tensione non supera i 0,3 V. Tuttavia le case costruttrici adottano comunque condensatori tarati dai 25V in su, anche perché il costo è pressoché identico e alcuni costruttori adoperano i medesimi componenti nei circuiti degli amplificatori, dove ovviamente il voltaggio è un fattore di estrema importanza.
Generalmente i condensatori tarati per sopportare un maggiore voltaggio hanno maggiori dimensioni ed hanno una più estesa superficie, garantendo una sonorità più morbida e “naturale” rispetto ai più piccoli condensatori tarati per tensioni inferiori.
Le vecchie Les Paul avevano condensatori da 0,022 uF da 400 V, mentre in Telecaster e Stratocaster anni ’50 troviamo condensatori da 0,050 uF con un voltaggio di 630 V.
Questi valori nominali però sono soggetti ad un grado di approssimazione espresso con una percentuale di tolleranza; naturalmente i condensatori più economici sono soggetti a tolleranze più ampie e possono allontanarsi dal valore nominale anche in misura del 20% sia in difetto che in eccesso, mentre i condensatori “hi end”, che solitamente vengono adottati nella componentistica hi-fi, rientrano generalmente in un 5% di tolleranza rispetto al valore nominale.
Ciò significa che se si paragonano due chitarre virtualmente identiche che montano entrambe un condensatore dal valore nominale di 0,02 uF con tolleranza di + o – 20%, potrebbe capitare di riscontrare in una chitarra un valore effettivo di 0,024 e nell’altra un valore di 0,016.
Nella pratica questa discrepanza del 40% diviene apprezzabile ad orecchio; dunque alcune differenze che vengono talora percepite tra chitarre dello stesso modello e della stessa epoca, solitamente imputate ai pickup o ai legni, potrebbero in realtà dipendere, almeno in parte, proprio dal condensatore dei toni.
Un piccolo segreto che si nasconde dietro il magnifico suono delle chitarre vintage anni ‘50 è che queste chitarre montavano condensatori di alta qualità realizzati in carta cerata e lamine metalliche o in polipropilene.
Naturalmente non bisogna illudersi che sostituendo il condensatore ad una chitarra coreana costruita con un patchwork di multistrato e pickup di bassa lega, si possano ottenere le sonorità di una Stratocaster “slab board” del 1961 alla Rory Gallagher; stiamo parlando pur sempre di un condensatore e non di un fattore determinante come un pickup o un amplificatore.
E’ altrettanto vero però che quasi sempre le chitarre attuali montano, anche nei più costosi modelli di punta, condensatori di scarsissima qualità: i piccoli dischi ceramici a forma di lenticchia che troviamo saldati ai potenziometri dei toni.
Anche il segnale di un’ottima chitarra con pickup di alta qualità viene indubbiamente penalizzato se passa attraverso componenti scadenti!
I condensatori generalmente usati in applicazioni audio sono i cosiddetti film/foil, costituiti da due lamine di un metallo conduttore che fungono da elettrodi, separati da un materiale isolante.
I più apprezzati dagli audiofili sono i condensatori con lamine metalliche (principalmente alluminio, latta, rame o argento) isolate da carta e olio, sebbene i condensatori al polipropilene e lamina di latta (polypropylene and tin foil caps) costituiscono un’ottima alternativa in quanto sono facilmente reperibili e più economici, sono più affidabili e godono di migliore stabilità alle differenti temperature, di una maggiore aderenza alle specifiche (minore tolleranza) ed hanno dimensioni più ridotte che ne semplificano l’impiego.
condensatore Strato
Le Gibson 335 e Les Paul vintage ad esempio, a partire dalla seconda metà degli anni ’50, montavano condensatori con isolanti al mylar, nome commerciale (brevettato dalla DuPont) di una pellicola di poliestere simile al cellophane ma particolarmente resistente e con straordinarie qualità di isolante e capacità di resistenza al calore.
Ma sorge il dubbio di quanto effettivamente questo piccolo componente possa influenzare nella pratica il suono della nostra chitarra al di là di preconcetti e teorie.
Per “toccare con mano” (o meglio con orecchio!) quanto ci sia di vero in queste speculazioni, con i fidi “guitar maniacs” Ernesto Noya e Gianni Bucci abbiamo organizzato un interessantissimo esperimento: un “blind test” per confrontare la resa di differenti condensatori senza condizionamenti di pregiudizi o “simpatie estetiche”.
L’ingegnosissimo Ernesto ha ideato e costruito una scatoletta munita di un selettore a 6 posizioni all’interno della quale erano nascosti altrettanti condensatori con differenti caratteristiche e di differenti epoche. La scatoletta è stata collegata al controllo dei toni di una Telecaster in maniera che ad ogni posizione del commutatore entrasse in azione un differente condensatore consentendo un confronto rapido e diretto.
Naturalmente la prova è stata organizzata in maniera tale che nessuno sapesse quale condensatore fosse selezionato in un determinato momento e mantenendo rigorosamente invariati regolazioni dell’ampli e fraseggi chitarristici. Dopo un primo giro di “warm up” appaiono subito evidenti alcune rilevanti differenze.
In teoria la differenza di suono tra due condensatori può essere apprezzata solo quando si chiude la manopola dei toni, ma in realtà abbiamo potuto riscontrare che la differenza è assolutamente sensibile anche con potenziometri al massimo. Questo probabilmente accade perché nella pratica anche quando il potenziometro è “a manetta” filtra sempre in minima parte il suono, interessando inevitabilmente il condensatore.
Ad ogni modo, per enfatizzare e percepire al meglio le differenze, la manopola del tono è poi stata chiusa di circa un terzo della corsa.
Ad ogni successiva rotazione del commutatore le differenze andavano delineandosi con maggiore chiarezza e, al di là di gusti soggettivi appariva unanimemente inequivocabile che i condensatori in posizione 1, 5 e 6 suonassero decisamente meglio degli altri tre e che il condensatore 3 in particolare fosse decisamente il peggiore di tutti.
In particolare il condensatore 1 vantava una gamma di frequenze più estesa, con acuti definiti; il 3 suonava “schiacciato”, con una gamma di frequenze misera e scarsa definizione, il 5 (il mio preferito) pur mantenendo una ricca escursione di frequenze suonava più aggressivo e “ruvido” con un tocco di calore dato da un piacevole arrotondamento delle frequenze alte e toni medi leggermente attenuati; il condensatore 6 era piuttosto simile al primo con ampia gamma di frequenze e risposta molto pulita, lineare e trasparente. Aprendo la scatoletta, con piacevole sorpresa, le nostre impressioni auditive hanno trovato il totale conforto della tecnica audiofila, a conferma della fondatezza delle teorie.
Alla prima posizione del commutatore della scatoletta era collegato un condensatore italiano al polipropilene di ottima fattura; il condensatore 3, ahinoi era proprio una famigerata lenticchia, il dischetto ceramico che si trova nella quasi totalità delle chitarre odierne; il 5 era un condensatore vintage al mylar, in tutto simile ai leggendari Sprague “Bumblebee” e “Black Beauty” montati nelle Gibson anni ’50; il 6 era un Hovland, blasonato condensatore americano al polipropilene con lamina metallica impiegato nell’ Hi-Fi. Nella posizione 4, dal suono piuttosto anonimo, era collegato un famoso Sprague “Orange Drop”, condensatore al polipropilene a buon mercato, di facile reperibilità, molto diffuso per la riparazione della componentistica Hi-Fi e degli amplificatori per chitarra.
Da questa esperienza si deduce che effettivamente il condensatore non è un elemento da trascurare: purtroppo i dischi ceramici a lenticchia adottati pressoché universalmente dalle case costruttrici per motivi economici sacrificano la qualità timbrica dello strumento e limitano drasticamente l’impiego della manopola dei toni.
I condensatori al polipropilene da Hi-Fi (Hovland, Axial, SCR) garantiscono decisamente una scelta ottimale quando pulizia, brillantezza, definizione ed ampiezza di frequenze sono la nostra priorità, ma potrebbero risultare un po’ “asettici” se ciò che cerchiamo è un tocco di calore “vintage”. In questo caso i vecchi “mylars” come gli Sprague Bumblebee, gli Sprague Black Beauty o i Cornell Doubilier Black Cat, rimangono una scelta insuperata in quanto aiutano a produrre quella timbrica pastosa e ricca che probabilmente non è il massimo della pulizia ma “gioca in casa” nel circuito dei toni di una chitarra. Molto apprezzati sono anche i condensatori Jensen “copper foil” a carta e olio con elettrodi in rame, ma le grandi dimensioni di questo componente non sempre consentono un agevole alloggiamento nello scasso dei potenziometri.
Dunque il consiglio è quello di sperimentare diverse soluzioni; un buon metodo per testare diversi condensatori è collegarli uno alla volta ai potenziometri dei toni con due fili e un paio di pinzette a coccodrillo in maniera da poter paragonare rapidamente diversi componenti e trovare quello che ci convince maggiormente. Quantomeno sarà un modo di aggiungere un ulteriore tocco di personalità al nostro suono.

Il Corretto Montaggio delle Corde

Un corretto montaggio delle corde è un’operazione semplice e alla portata di tutti, anche del dilettante, a condizione che si osservino alcune accorgimenti:1 Rimuovere le vecchie corde senza lasciare residui sulle meccaniche o sul ponte.
2 Sostituire sempre tutta la muta possibilmente con la stessa scalatura, questo eviterà di intervenire su altre regolazioni ( action e tensione del manico )
Vi consiglio di approfittare della tastiera libera per pulire accuratamente i tasti i pick up il ponticello e la cassa sotto le corde con un panno di cotone asciutto.
Per quanto possa sembrare facile non tutti i chitarristi usano una tecnica di montaggio giusta, ma solo se la si esegue in un certo modo si ha un migliore rendimento sia per quanto riguarda la tenuta dell’accordatura, la tendenza alla rottura e la durata delle corde.
Per prima cosa bisogna fissare le corde al ponte ciò avviene passando le corde nel blocco attaccacorde presente sulla chitarra; questo può essere separato dal ponte (tipo Gibson) o incorporato in esso (Fender, Floyd Rose).
Fate passare le corde nel blocco attaccacorde facendo attenzione che il pallino della corda non si incastri. Se avete il ponte tipo Floyd Rose il pallino deve essere tagliato e la corda va bloccata usando le apposite brucole.Ora bisogna fissare le corde alle meccaniche, tendete la corda verso la meccanica dove deve essere fissata e tagliatela a 4-5 cm. dal perno della meccanica.
Infilate la corda nel perno facendone uscire 1 cm. dopo di che far fare un primo giro intorno al perno passando sopra la parte di corda che fuoriesce mentre i giri successivi sotto, in questo modo la corda viene bloccata. A questo punto si accorda la chitarra dopo di che si tendono le corde con la mano e si riaccordano; questa operazione va ripetuta fin quando le corde, stabilizzatesi, non si scordano più.
Fate attenzione a non sovrapporre le spire che si formano nel portare in tensione le corde  per non creare potenziali laschi meccanici, tendete la corda al centro come la corda di un arco e girate la meccanica fino ad andare in tensione, in questo modo la corda è stabile e l’angolo di incidenza con il capotasto sarà maggiore consentendo un maggior sustain nella corda a vuoto.

Pickup e liuteria

Come noi tutti sappiamo, i pickup sono il metodo più efficace, dopo le corde, più economico e rapido per plasmare il suono di una solidbody. In considerazione del fatto che ormai i fori di montaggio sono standardizzati, la sostituzione dei pickup diventa un'operazione relativamente semplice. In commercio troviamo di tutto: humbucker con bobine affiancate o sovrapposte, magneti cilindrici o a lama, single coil con espansioni polari e barra magnetica sottostante...Il tutto in una vertiginosa scelta di livelli di uscita e di curve timbriche.

Nessun pickup per chitarra elettrica segue un progetto di risposta lineare: ogni prodotto aggiunge colore al suono acustico di una chitarra, a ciò che è già presente! Se si vogliono enfatizzare determinate frequenze non esiste altro metodo, su di una chitarra, che la sostituzione dei pickup.

La maggior parte dei musicisti è convinta che sia il solo pickup a cambiare il timbro: non è così. I pickup enfatizzano solamente il suono acustico della chitarra. I pickup dovrebbero servire solamente a sottolineare quello che di positivo è esistente e non a correggere le mancanze acustiche di uno strumento.

Quanti di voi hanno provato a sostituire i pickup di una strato-ciofeca cercando di rimediare alle carenze intrinsiche dello strumento per poi scoprire che non esiste pickup al mondo che faccia suonare decentemente uno strumento nato male?

Quanti di voi cercano uno strumento che liuteristicamente suoni in modo decente per poi affermare "Tanto poi sostituisco i pick up"? Ognuno di noi ci è passato, credo, e ciò convalida la mia tesi sul fatto che uno strumento, innanzitutto, deve essere costruito molto bene. Un buon set di pickup ed un buon abbinamento con un ampli degno della chitarra faranno il resto.

Se la vostra chitarra manca di sustain, presenta note morte, è mancante di frequenze mediobasse e basse, non ci sarà pickup che la farà risorgere. Provate pertanto a posizionare il vostro amplificatore in una stanza diversa da quella in cui suonate: quando le corde della chitarra smetteranno di vibrare al pickup non resta più nulla da riprodurre! E nel momento in cui vi troverete con un manico che non riproduce correttamente tutte le note, il pickup non farà altro che evidenziare questo difetto.
Il suono dei pickup
La struttura fisica e le specifiche elettriche sono alla base del suono di un pickup. Il timbro di un pickup deriva dall'insieme dei suoi componenti: il diametro del filo, il numero delle spire, il modo in cui il filo è avvolto sul magnete, le dimensioni e la struttura del magnete stesso contribuiscono a decidere ciò che il pickup percepisce ed anche il come lo percepisce.

Più spire ci sono più elevato è il livello di uscita a scapito della risposta in frequenza.
Un pickup più potente può però forzare la saturazione di un amplificatore. La saturazione  avviene all'interno dell'ampli, distorcendo e comprimendo il segnale proveniente dalla chitarra.

Se, al contrario della prova di cui sopra (ampli e chitarra in stanze diverse), vi trovate a suonare di fronte all'amplificatore, noterete che il suono dell'ampli ecciterà le corde della chitarra prolungandone il sustain. Questo aumento di sustain è il risultato dell'interazione tra ampli e chitarra e la sensibilità del pickup sarà. a questo punto, parecchio importante.
La distanza del pickup relativamente alle corde influisce inoltre sul contenuto armonico. Se la distanza è molta si otterrà un suono moscio e piatto; in caso contrario si avrà un decadimento di sustain dovuto alla eccessiva attrazione magnetica. Tra i due estremi vi è il meglio: anche solamente alzando o abbassando il pickup di mezzo giro di vite otterrete diverse sfumature timbriche ed un incremento o decremento di armoniche. Consiglio vivamente, prima di sostituire un pickup, di effettuare delle prove approfondite.

I vecchi pickup delle Stratocaster
Limitiamoci a questi, per ora. Da decenni mi chiedono copie di Strato e Tele: sono appassionato di questi storici strumenti, meno nelllo scopiazzare ciò che Leo ha progettato e costruito quasi 60 anni fa. Non ci godo ma devo pur vivere, per cui ogni anno sono costretto a sfornare un tot numero di esemplari. Molto pochi, in realtà. Il resto del tempo lo impiego per costruire ciò che mi piace e che cerco di imporre nel piccolo mercato che mi circonda.

Ho sempre amato ed apprezzato le Strato "slab board", quelle che mi capitavano in prestito da ragazzo e che non mi potevo permettere. Per me quella è la Stratocaster di riferimento: suono grasso e pacioso, cantini non stridenti ma rotondi e definiti.

Molto diverse, peraltro, dalle "Maple Neck" di generazione precedente, più taglienti ed assassine :-)  Ma anche molto diverse dalle Strato costruite dopo il 1964 in modo difforme dalle precedenti ed equipaggiate da pickup differenti.

Replicare dei pezzi di legno non è poi tanto difficile, replicare il "tone" generale dello strumento è tutt'altro che semplice. Molti fattori incidono alla composizione del suono di quelle strato ed una parte importante sono proprio i pickup.

Non sono mai stato del tutto soddisfatto di quello che offriva il convento ed un giorno, di molti anni fa, dopo asermi studiato lo studiabile, provato il provabile, analizzato l'analizzabile, ho deciso di mettermi a costruire i pickup per i miei strumenti. In definitiva si tratta di 2 parti di fibra vulcanizzata, 6 magneti in AlNiCo V ed un pò di filo avvolto. Checcevò?

Ci vuole una bobinatrice, ci vuole sbattersi per trovare la fibra vulcanizzata originale, ci vuole trovare i magneti giusti (ci sono 6 tipi di AlNiCo V), ci vuole trovare il vecchio filo Formvar non più in produzione in Europa da decenni, ci vuole sbattersi e costruire dime ed attrezzature per mettere assieme il tutto per poi avvolgere il rocchetto.

Un paio di mesi ed avevo in casa tutto il necessario: bobinatrice professionale non digitale recuperata nella cantina di una ditta di bobine passata al digitale: 60 euro (praticamente regalata) ben spesi (attualmente ancora in produzione al costo di 4000 euro circa).

Motore a velocità variabile e bancale da sarta altri 80 euro. Vecchie bobine di Formvar AVG 42 da 4 Kg l'una e poche altre cavolate self made. Ed il gioco è (quasi) fatto. In fin dei conti anche ai tempi di Leo le attrezzature erano le stesse, quindi?

Quindi si trattava di capire come farli suonare "giusti", roba tutt'altro che semplice. La macchina era dotata  di tensionatore  e di barre di registro per adagiare le spire una accanto all'altra, in modo automatico (come peraltro vengono adagiate tuttora nella maggior parte dei casi).

Prime prove: 8500 spire ben adagiate per una resistenza di circa 6000 Ohm: suono buono ma non ottimo. Via il tensionatore e avvolgimento guidato a mano (handwound): miglioramento netto e suono molto simile agli originali.

Un pò di spire in più, in funzione del suono acustico della chitarra in essere ed il gioco è finito Centrale reverse? Per carità: il suono cambia drasticamente con notevole perdita di sustain ed incremento di acuti troppo squillanti, soprattutto nelle posizioni 2 e 4.

Una prova con polvere di ferro in laboratorio mostra un incrocio parziale di polarità fra i campi magnetici del PU centrale con gli esterni. Le corde non vibrano come dovrebbero ed il risultato non è soddisfacente.

Meglio un pò di rumore il più che un suono scarno e troppo enfatizzato sugli alti. Un'ulteriore prova di laboratorio con Gaussmetro digitale, rileva un campo magnetico dei vecchi pickup superiore del 25 e più per cento rispetto alle nuove leghe in AlNiCo, nonostante gli anni trascorsi. Per ovviare a ciò il diametro dei magneti viene portato, da .185" (4.7 mm. circa) a 5 millimetri. Ora il suono è quello, con le minime varianti dovute alle diverse tavole con cui sono costruiti i corpi ed i manici.

Come si forma la Timbrica in una Solid Body

Premessa

Molti musicisti attivi negli anni settanta, forse la maggioranza, ritenevano il corpo di una solidbody una semplice tavola di legno inerte (o quasi) ininfluente al fine dell'ottenimento di un buon suono amplificato.

La proprietà acustica di una solidbody non veniva considerata mentre l'attenzione si concentrava sulle parti metalliche, sui pickup e sulla circuitazione elettrica. Molti "rottamavano" i loro strumenti pregiati con l'aggiunta di pesanti parti in ottone, pickup superpotenti e di preamplificatori di qualsiasi tipo.

L'importante era portarsi addosso più peso possibile perchè solamente in quel modo la chitarra avrebbe avuto un bel suono...
Il decennio successivo visse una controtendenza: la gente incominciò a rendersi conto che il suono acustico di una solidbody era la base della sua timbrica amplificata.

La chitarra elettrica, di base, è una chitarra acustica. Si prende qualcosa di molto piccolo, come il suono acustico di una solidbody, e lo si amplifica enormemente. Tutte le più piccole imperfezioni del suono acustico diventano palesi nel suono elettrico. Sarebbe come trasformare una formica in un dinosauro.

La comprensione del suono di una chitarra elettrica passa necessariamente attraverso la conoscenza dell'interazione tra i suoi principali componenti.
La voce, il suono, il timbro di una chitarra elettrica è determinato da un insieme di componenti quali il corpo, il manico, il ponte, il capotasto, le meccaniche che insieme creano un corpo risonante.

La scelta dei pickup e dell'elettronica ha la funzione di amplificare questo suono, di sottolinearne meglio le caratteristiche. Come essi agiscano in aiuto delle proprietà acustiche di base è un argomento controverso e soggettivo ed i risultati sono frutto di esperienza ed errori o addirittura di incidenti fortuiti.

Esamineremo di seguito i componenti di una elettrica solidbody per cercare di capire le caratteristiche dei materiali  e cercare di esaminare l'anatomia timbrica di una solidbody.
Corpo
Anche in una solidbody il corpo funge da tavola armonica. Il materiale di cui è composto è alla base della timbrica finale di una chitarra e definisce la limpidezza e la definizione del "suono acustico". La scelta del legno determina come il corpo "capta" le vibrazioni delle corde.

Per la costruzione dei corpi delle solidbody vengono utilizzati diversi tipi di legno, ognuno dei quali con le proprie caratteristiche sonore. Non solo, ma variazioni di densità e peso creano variazioni anche significative nella colorazione timbrica di uno strumento. Anche se i corpi vengono prodotti dalla stessa tavola.

In base alle varie essenze, si possono fare delle affermazioni di carattere generale:
L'acero produce un attacco rapidissimo della nota, a volte anche aspro e con un decadimento rapido. Produce una forte intensità della fondamentale però senza una grande colorazione armonica. Tra le varietà più ricercate troviamo Il Flames Maple, il Quilted, lo Spalted, il Birdseye, il Burt, il Soft e l'Hard Rock Maple.

I musicisti in cerca di suono rotondo invece si rivolgono normalmente al mogano, che può essere mediamnte leggero o anche pesante, in funzione della specie e del luogo di provenienza. Oltre ad un attacco rotondo e mediamente dolce offre anche un ottimo sustain. Se viene utilizzato un mogano pesante il timbro ne risente parecchio perdendo il colore e la rotondità prodotta da questa essenza.

Se prendiamo come esempio una Les Paul Standard possiamo invece vedere come le due essenze possono essere combinate per ottenere un diverso tipo di sonorità: corpo in mogano (suono corposo e rotondo) con top in acero (attacco rapido e forte intensità della fondamentale). Il risultato è un lungo sustain, peso accettabile con una buona risposta delle frequenze alte.

Lo Swamp Ash è invece un legno della famiglia dei frassini: molto leggero, fornisce un suo timbro risonante che, in combinazione con un classico tremolo con molle posteriori e pickup single coil, enfatizza talune armoniche producendo il classico "suono di campana". Un peso troppo leggero ha pochi bassi ed una timbrica gracile mentre un peso "medio" è il miglior compromesso per ottenere un ottimo sustain ed una timbrica bilanciata.

L'Alder, "trademark" di tutte le Strato prodotte dopo il '56 (parliamo delle Strato che hanno fatto la storia) si caratterizza per un attacco moderato ed un decadimento abbastanza regolare: il suono è bilanciato sia sulle basse frequenze che sulle alte. Ne consegue che è il più ricercato per suonare un'ampia gamma di generi musicali. Praticamente il "best seller" dei legni per una solidbody.

Il Basswood è un'essenza che per il suo timbro uniforme senza spigolature, attacco moderato e sustain costante, viene utilizzato dalla fine degli anni '70 per la costruzioni di strumenti che devono suonare ad alto volume quali le chitarre da Hard Rock. Tuttora gran parte di questi strumenti "dedicati" vengono costruiti con questa essenza.


Nel campo della liuteria molti artigiani si dilettano a costruire strumenti con essenze diverse, esotiche come il Koa o il Bubinga o il Padouk o il Walnut. A volte usati solo come Top su basi di Alder, Basswood o Poplar, altra essenza parecchio popolare e simile all'Alder. Alla continua ricerca del Sacro Graal...

Molte ditte producono inoltre chitarre con corpi scavati ottenendo all'interno delle camere tonali che aumentano sia il volume che la risonanza. Questi strumenti hanno pià calore e più bassi e sviluppano il loro massimo potenziale di sustain a volumi inferiori rispetto alle solidbody con corpo pieno. Va da sè che sono gli strumenti che prediligo e che cerco di proporre sempre alla mia clientela.
Giunzione del manico
La timbrica di una chitarra viene colorata pesantemente dal tipo di giunzione tra il manico ed il corpo. La vibrazione delle corde, che poggiano sul capotasto e sul ponte, si trasmette appunto tramite la giunzione delle due parti. Nel sistema "bolt on", la classica giunzione delle Strato e delle Telecaster, le due parti vengono unite tramite viti mordenti. Per ottenere il miglior suono possibile è basilare che le due parti si incastrino alla perfezione e che si abbia un buon contatto con tutte le superfici della giunzione. Qualunque spazio vuoto determina una perdita di suono.

Questo tipo di giunzione contribuisce a rendere identificabile il suono di una bolt-on, dato che enfatizza alcune frequenze a scapito di altre. Il classico "twang" che si ottiene da questi strumenti è dovuto proprio a questa giunzione che  crea delle tensioni diverse nel legno rispetto all'incollaggio del manico/corpo e produce appunto un suono ed una timbrica diversa e facilmente identificabile.

 

Le chitarre neck-thru-body si caratterizzano per il manico che prosegue senza interrompersi dalla paletta sino al bottone inferiore per la tracolla. A completare il corpo vengono incollate due ali normalmente in legno più tenero. La timbrica di questi strumenti, in cui prevale l'acero, è spesso squillante, con attacco rapido e ottimo sustain ma carente di frequenze basse. Questi strumenti suonano bene ad alti volumi e quando viene richiesta un alta definizione con bassi limpidi e definiti. Alcuni modelli Gibson (Firebird) utilizzano invece manici ed ali in mogano: il suono è più rotondo e si può assimilare a quello prodotto da una giunzione di tipo "set in".

La giunzione di tipo "set in", con manico incollato tipo Les Paul, a detta di tanti addetti ai lavori fa "cantare" la chitarra: dopo l'attacco, le note fluttuano sino al raggiungimento dell'ampiezza finale. Le chitarre costruite con questo tipo di giunzione posseggono un attacco moderato ed un sustain caldo e naturale.
Manico e truss rod
In una chitarra solidbdody il manico, insieme al corpo, concorre a determinare il suono acustico di una chitarra. Altri componenti caratterizzano il "tone" di una chitarra, ma di certo la parte "legnosa" è predominante su qualsiasi altro componente "ferroso". La densità, la durezza ed il peso del manico alterano il modo in cui il manico trasmette al corpo le vibrazioni delle corde. Peraltro la timbrica può cambiare anche di molto utilizzando manici provenienti dalla stessa tavola.

Manici in acero produrranno timbriche brillanti e limpide mentre manici in mogano, meno densi dell'acero, produrranno timbriche più calde ed un decadimento della nota più regolare e meno repentino. All'interno dei manici giace comunque una componente sonora nascosta: il truss rod. La sua funzione è quella di opporsi alla tensione delle corde. In realtà altera anche la massa del manico e la sua flessibilità.


Il truss rod deve essere sempre in tensione. Un truss rod lasco può vibrare simpateticamente con le corde assorbendo alcune frequenze, può produrre "note morte" o anche diminuire il sustain. Un tendimanico a singola barra pesa meno di uno a doppia espansione e produce un suono più caldo. Un tendimanico a doppia espansione aumenta il sustain.
La paletta
Possiamo dividere le palette in due categorie: diritte e inclinate. Il tipo diritto non è altro che una prosecuzione del manico stesso: il nucleo del manico passa ininterrotto attraverso il capotasto e prosegue sino alla fine della stessa paletta. Una paletta diritta è più "viva"  rispetto ad una paletta inclinata e le corde mantengono una pressione minima sul capotasto rispetto alle palette inclinate.

Alcune frequenze più acute e brillanti di una paletta dritta possono essere attribuite alle vibrazioni delle corde e della paletta dietro il capotasto. Alcune frequenze vengono esaltate, altre attenuate ed il tutto contribuisce ad ottenere un suono aperto .
(Dan Smith della Fender)

Le palette inclinate possono essere ottenute o dalla stassa tavola oppure per incollaggio. Il suono di una paletta incollata sarà composito come  somma dei singoli elementi compreso la colla mentre il suono di una  paletta formata da un unica tavola presenterà delle frequenze diverse dovute all'unicità del materiale e delle fibre di cui è composto.

Nel caso di paletta inclinata l'aumento di tensione al capotasto contribuisce ad aumentare il sustain. La maggior parte delle vibrazioni verranno pertanto convogliate al corpo e non si dissiperanno come in una paletta "flat"
Pillole di anatomia timbrica di una solidbody
Corpo Il corpo, anche se massiccio, fornisce l'importantissima tavola armonica. Con chitarra amplificata o meno.
Giunzione manico Ogni tipo di giunzione del manico (Bolt-On, Neck-Thru-Body, Set In) ha il proprio suono personale.
Paletta La dimensione, la forma, la massa e l'angolazione della paletta risultano fattori importanti nell'equazione timbrica.
Manico Il materiale, la costruzione, il truss rod, la tastiera ed i tasti possono modificare la timbrica di uno strumento in termini modesti o drammatici.
Ponte Il ponte è il principale mezzo attraverso il quale le vibrazioni delle corde si trasferiscono al corpo. I ponti fissi trasferiscono più vibrazioni che non i ponti-tremolo.
Capotasto Il capotasto influisce sul suono solo a corde libere. Nel momento in cui una corda viene premuta, termina anche la funzione del capotasto.
Meccaniche Il tipo e soprattutto la massa delle meccaniche può influire in termini modesti sul suono anche su strumenti con capotasto bloccato.
Corde La genesi del suono. Cambiare le corde è il modo meno costoso per cambiare drasticamente il suono di una solidbody.
Pickup Cambiare pick up significa trasformare la personalità di una solidbody. Ma non possono migliorare un suono già povero in partenza.
Finiture Le finiture possono influenzare anche pesantemente la risonanza del legno e possono migliorare o peggiorare il timbro in generale.

Meccaniche
La sostituzione delle meccaniche porta a risultati imprevedibili, ma sostenere che il timbro venga influenzato pesantemente è un'affermazione eccessiva.

Di fatto passare da una serie leggera ad una serie pesante altera la massa della paletta e di conseguenza anche la frequenza di risonanza del manico, modificando in tal modo il timbro della chitarra. Si può ottenere un risultato positivo oppure negativo, in funzione dell'interazione dei componenti.

Purtroppo il risultato finale lo si può verificare solamente a sostituzione avvenuta. Qualche volta mi è capitato di reinstallare nuove meccaniche dello stesso tipo di quelle tolte perchè difettose: su alcuni tipi di solidbody la differenza si fa sentire ed alcune frequenza possono venire perdute nel cambio.

La situazione è abbastanza difficile quando viene richiesto un set di autobloccanti, per esempio, in sostituzione delle classiche vintage: il foro deve essere allargato e tornare indietro può creare qualche problema. Da pensarci bene, se il nostro strumento ci soddisfa e non vogliamo sorprese sonore...

E' comunque importante che le parti componenti delle meccaniche siano integre e che l'accoppiamento "ruota dentata/vite senza fine" non sia lasco. In caso di scricchiolii o fastidiosi ronzii la sostituzione è d'obbligo. Ma, ripeto, a parte casi rari e sporadici, possiamo dire che la sostituzione non ha una significativa influenza sulla timbrica finale.
Capotasto
Negli anni settanta molti chitarristi sostituivano il capotasto in osso o in plastica delle loro chitarre con un capotasto in ottone. La credenza generale era quella che un capotasto in ottone incrementasse il sustain generale. In realtà, una volta che la corda viene premuta, la funzione del capotasto viene svolta dal tasto ed il capotasto viene tagliato fuori dalla catena sonora.

C'è da sottolineare comunque il fatto che un capotasto installato in modo non corretto può influire negativamente sul suono. Il capotasto deve essere installato a stretto contatto con il manico: un capotasto che si muove attenua le vibrazioni delle corde causando una risposta irregolare e tagliando alcune frequenze.

Anche le tacche dove alloggiano le corde devono essere intagliate in modo corretto e le corde devono scorrere in esse senza aver la possibilità di muoversi all'interno delle stesse. Se le corde hanno la possibilità di muoversi, facilmente si otterranno ronzii e gravi perdite di suono sulle corde aperte.

I capotasti bloccanti per sistemi Floyd Rose possono influire negativamente sul sustain se non installati in modo corretto, e comunque creeranno un'alterazione del suono rispetto ad un capotasto di tipo tradizionale. Tuttavia va considerato il fatto che un capotasto bloccante va sempre in abbinamento ad un ponte Floyd Rose o licensed e stabilire l'entità della variazione sonora dovuta al solo capotasto risulta pressochè impossibile.
Tastiera
I materiali con cui vengono costruite le tastiere si possono dividere un due famiglie: legni e materiali di tipo sintetico. I legni comunemente usati sono il palissandro, l'acero e l'ebano mentre i materiali sintetici comprendono le resine fenoliche, grafite e materiali compositi di plastica con fibre. In linea di principio il palissandro ha un attacco un pò meno definito dell'acero e dell'ebano che, essendo più duri, regalano un attacco più pronto e con un decadimento più repentino delle note ma con un sustain prolungato

Con il palissandro le note sembrano uscire piano piano: alcuni costruttori con cui ho colloquiato alle varie fiere, sostengono che la causa di questa reazione potrebbe essere l'alto contenuto di oli presenti in questa essenza.

Oli che fungono un pò come cuscinetti smorzanti. Personalmente non sono tanto convinto di questa teoria, dato che anche strumenti di 40 o 50 anni hanno grossomodo lo stesso comportamento. E gli oli ormai sono essicati di brutto.

L'acero, altro legno molto usato, in linea teorica (ma anche pratica, a volte) risponde in modo più repentino e dona una timbrica più brillante. Ciò è dovuto soprattutto al fatto che i maple neck sono ottenuti da un'unica tavola e quindi la rigidità della stessa è diversa che non quella di un manico con tastiera incollata.

Un manico in acero con tastiera in acero incollata (vedi le Strato di epoca hendrixiana) reagisce grossomodo alla stessa maniera del palissandro e non si notano differenze timbriche apprezzabili.

Inoltre c'è da tenere presente un fattore molto importante: solitamente i maple necks sono manici con una configurazione del dorso parecchio diversa da quella a C che normalmente usiamo sugli strumenti con tastiera in palissandro. Il retro, normalmente (se ci rifacciamo agli strumenti storici), ha una configurazione a V che rende molto più rigida la struttura evidenziando le frequenze alte a scapito delle medie (che si perdono per strada).

Su questa eterna diatriba posso dire che, mia esperienza, a parità di configurazione del retro e dunque della rigidità totale del manico, le differenze sono veramente minime e bilanciabili tranquillamente con un surplus di avvolgimenti supplementari delle bobine dei pick up.

Per ultimo, teniamo presente anche del fatto che gli strumenti che vogliono riprodurre le serie Vintage, vengono normalmente dotati di pick up con resistenze di circa 5700 ohm, che contribuiscono parecchio a rendere poco armoniosi (a mio parere) gli strumenti dotati di manici di questo tipo.

A riprova di ciò, ultimamente ho dotato di pickup leggermente sovravvolti due Strato Fullerton dei primi anni 80 (con manico Maple Neck) ottenendo delle sonorità assolutamente grosse ed ispirate al blues. Mantenendo, nel contempo,  tutte le frequenze che i pickup originali, avvolti con resistenza di 5700 Ohm, non riuscivano a riprodurre. Peraltro 2 strumenti perfettamente uguali e dello stesso anno con due timbriche completamente diverse tra di loro. Comunque apprezzabili entrambe.


L'ebano è invece diverso da tutti e due i precedenti: offre un dettaglio ed una chiarezza sonora che le altre essenze non riescono a trasmettere. Attacco più definito, dunque, e decadimento più veloce (il volume si abbassa precocemente) ma con maggior sustain. Basta confrontare un Les Paul Custom e uno Standard e ci si rende conto della differenza di attacco e definizione. Molto consigliato a chi fa uso smodato di hammer-on o pretica tecniche percussive magari a due mani.

Il Pau Ferro potrebbe essere una valida alternativa alle essenze di cui sopra: dovrebbe abbinare le caratteristiche dell'ebano e del palissandro e varrebbe la pena approfondire le sperimentazioni per ottenere strumenti con caratteristiche magari diverse ma interessanti. Quando avrò del tempo a disposizione mi faccio un manico con tastiera in Pau Ferro, che così vi dico le mie umili impressioni.


Le tastiere sintetiche hanno caratteristiche abbastanza simili fra loro, che influiscono in maniera abbastanza pesante sulla timbrica in generale. Sono molto rigide, essendo molto dense, e offrono una eccellente risposta sui toni acuti ed una grande regolarità di risposta nota per nota, evitando note morte. Ma offrono anche una timbrica un pò da Alta Fedeltà, neutra e predisposta per essere elaborata facilmente con effettistica varia. Ho sostituito parecchi manici di Steinberger con altri più tradizionali e gli strumenti ne hanno tratto giovamento in quanto a colore e calore...

Qualche buontempone sostiene che anche gli intarsi sulle tastiere influenzano il suono. Io non credo proprio, anche se intarsi di grande dimensione modificano la composizione della tastiera introducendo un'ulteriore variabile nell'equazione sonora. Sinceramente non ho mai provato a sostituire una tastiera con dot con una con intarsi a blocchetto tipo Les Paul Custom. Ho vissuto bene lo stesso e penso che continuerò a vivere senza pormi questo tipo di problema.
Tasti
La posa e la rifinitura dei tasti, e quindi la suonabilità dello strumento, credo che siano più importanti di un eventuale piccola variazione sonora che può verificarsi nella scelta du un tipo rispetto un altro.

In parole povere, avere uno strumento con i tasti rifiniti a dovere, soprattutto nelle estremità, sentire la mano che scorre senza inghippi, ritengo sia più importante che non le caratteristiche tecniche sulla durezza e materiali.

Va detto, a onor di cronaca, che tasti sottili e ben arrotondati producono un suono un pò più definito e limpido. Tasti di tipo medium o jumbo, magari appiattiti per scelta (vedi vecchie serie di Les Paul Custom) danno note un pò meno precise riducendo chiarezza e creando note leggermente fuori tono.

Tasti alti possono essere adeguati a determinati stili musicali ma, se si preme più del necessario, di certo si tenderà alla stonatura evidente. Va inoltre detto che tasti larghi usufruiscono di una superficie di appoggio maggiore, incrementando di un tot il sustain.

Per quanto riguarda il materiale, la maggioranza dei tasti che troviamo montati sulle chitarre sono di tipo Nickel/Silver ma di argento non compare traccia. La lega è composta da ottone e nickel, quest'ultimo in una percentuale del 18%, cosa che fa sembrare il tasto "argentato", da cui il nome.

Ultimamente si possono trovare in commercio tasti in acciaio inossidabile, più duro e meno soggetto ad usura.
Non ho parametri per dire se suonino diversi da quelli tradizionali. Per non sbagliare io continuo ad usare i classici Silver/Nichel che, se lavorati con superficie ellittica, offrono il vantaggio di donare un suono limpido usurandosi molto di meno.
Qualche pillola sul cambio corde per ottenere un "suonone"
Vuoi ottenere un suono più grosso spendendo poco? Prova ad aumentare il gauge delle corde della tua solidbody ed ad alzare l'action: la tua ricerca può iniziare da questo semplice upgrade che può portare anche a risultati eclatanti. Le note sono prodotte dalle vibrazioni delle corde ed intervenire su queste ultime è il primo passo per sperimentare nuove sonorità. A seguire una tabella riportante qualche considerazione in merito.

Corde avvolte

 Le corde avvolte si dividono in tre tipi: con filo in puro nichel, con filo in acciaio nichelato oppure con filo in acciaio inossidabile. La sua formulazione determina la sonorità della corda. Il nichel puro è il più caldo dei tre, l'acciaio nichelato sta in mezzo mentre l'acciaio inox offre marcate frequenze alte ed aggressività in quantità industriale. Normalmente i musicisti rock prediligono la via di mezzo. Mentre i jazzisti prediligono un avvolgimento nastriforme (flatwound) la stragrande maggioranza dei chitarristi utilizza un avvolgimento con filo a sezione tonda (roundwound) che, rispetto al tipo sopracitato, produce molte più armoniche. Ma esiste un terzo tipo denominato half-round, non semplice da trovare, che unisce un suono brillante pur essendo lisce al tatto. Anche l'anima interna può essere diversificata: quella a sezione tonda, a mio parere, produce un suono più brillante di quella esagonale. Ma i ricordi si perdono nel tempo ed ultimamente uso solamente corde con sezione tonda. Provate voi dei set diversi, che almeno aggiorniamo il database :-)

 Corde liscie

 Le corde non avvolte sono cotruite utilizzando acciao ad alto tasso di carbonio. Le varianti sono minime da produttore a produttore e quindi non classificabili. Un grosso produttore un giorno mi disse che la differenza tra le corde da lui prodotte e quelle della concorrenza consisteva nel tipo di nodo all'estremità della stessa. Se il nodo attorno al pallino è "forte", la corda produrrà più sustain di un nodo più debole. La differenza, disse, è drammatica. Ma il sottoscritto non ha mai verificato se questo fosse o no veritiero. Non saprei peraltro come fare tale verifica...

 Diametro delle corde

 E' la cosa più importante per la produzione del suono. Corde pesanti hanno più massa, tensione ed influssi magnetici sui pickup. Producono un suono più forte e denso (SRV docet). Sperimentare marche diverse e gauge diversi è il sistema più economico per cambiare timbrica. Con pochi euro si può aprire un mondo sconosciuto a molti di noi, restii a cambiare grandezza, tipo e marca.

 Action

 L'action incide in modo considerevole sul timbro complessivo dello strumento. Più le corde sono alte più il suono ne trarrà giovamento. La tensione sulle sellette del ponte aumenterà e con essa aumenterà anche il sustain. Robbe da bluesmen incalliti.

Una chitarra "drogata"

 Tanti musicisti di riferimento hanno chitarre drogate. Lo stesso Gilmour setta i suoi strumenti con action molto alta: è uno dei segreti del suo suono! Le sue chitarre, per un comune mortale, sono quasi insuonabili me senza fatica non si ottengono grossi risultati. Se siete determinati a migliorare la vostra sonorità, alzate action e passate ad un gauge superiore. Inizialmente farete più fatica ma dopo una decina di giorni la fatica diminuirà e la chitarra vi seguirà come vi ha sempre seguito. Mal che vada potrete sempre fare un passo indietro e ritornare alla siìtuazione di partenza...

Parliamo di ponti e sellette
La costruzione ed i materiali utilizzati per il ponte determinano la quantità di vibrazioni che vengono trasmesse dalle corde al corpo. Per questo motivo dobbiamo ritenere il ponte una parte molto importante della nostra solidbody.

I ponti si dividono sostanzialmente in due grandi famiglie: fissi e mobili (detti anche "ponti tremolo"). I ponti fissi offrono normalmente una maggiore superficie di contatto e, a volte, una maggiore pressione delle corde sulle sellette. Sono caratterizzati da un suono più "profondo e diretto" e offrono un sustain più prolungato.

I ponti tremolo trasmettono le vibrazioni attraverso delle viti o dei pivots inseriti nel corpo. In questo caso la trasmissione delle vibrazioni avviene attraverso una superficie di contatto molto ristretta, inficiando parte della vibrazione stessa con le conseguenze del caso (meno sustain).

I ponti tradizionali di tipo "Vintage", se costruiti con ottimi materiali, soffrono di meno degli svantaggi sopracitati: le corde sotto tensione spingono il ponte stesso, che comunque appoggia sul corpo, verso le sei viti, trasmettendo gran parte delle vibrazioni. I ponti a due pivots, al contrario, sono sospesi e trasmettone le vibrazioni al corpo solo attraverso i due pivots e gli inserti nel corpo stesso.

I ponti Floyd Rose e Licensed, oltre agli svantaggi di basculare su due punti, aggiungono l'ulteriore svantaggio di avere una massa ferrosa importante, che produce di suo una variazione tonale e timbrica assai notevole.

Va da sè che, sostituendo un tradizionale ponte vintage con uno a due pivots, si otterranno svantaggi in fatto di sustain e timbrica. Sotto questo aspetto i Floyd Rose et similia sono quelli che tendono a cambiare notevolmente il "tone" della chitarra. Molte chitarre, inoltre, non interagiscono bene con questo tipo di ponti e diventano sferragglianti in modo esagerato.

I legni migliore accoppiabili a ponti tremolo bloccanti sono il basswood ed il poplar, un pò più carichi di frequenza medie che, attraverso la massa del ponte, inevitabilmente tendono a perdersi per strada.

L'utilizzo di pickup potenti o molto potenti potrebbero equilibrare in parte questa carenza ma, meglio saperlo prima, un ritorno all'origine diventa improponibile nella maggior parte dei casi. I metalli con cui sono costruiti i ponti, inoltre, contribuiscono alla personalità timbrica dello strumento. Ponti pressofusi in lega di zinco offrono sonorità percettibilmente diverse da ponti ottenuti con particolari di acciaio o acciaio inox.

Il blocco inferiore, chiamato anche blocco inerziale, filtra le vibrazioni delle corde prima di trasmetterle al corpo. La scelta tra un blocco pressofuso ed un blocco in acciaio quindi dovrà essere effettuata in funzione della timbrica generale della chitarra: se è già brillante di suo meglio un blocco in lega di zinco. Se si vuole incrementare sustain e frequenze alte, meglio scegliere un blocco in acciaio.

Perlomeno questa è la strada che perseguo io. Nei miei ponti ho ottenuto un buon equilibrio con un blocco in ottone, una piastra di base in lamiera di ferro (Fe 42) e sellette in acciaio inox. Però non agisce su pivots ma il basculamento avviene attraverso gabbie a rulli cilindrici, con molta superficie di contatto.

Ultima, per ora, annotazione sui ponti: l'angolo di incidenza delle corde sulle sellette è parecchio importante per l'incremento o decremento della durata della vibrazione. Ponti tipo il Floyd Rose offrono poco angolo di inclinazione e quindi poca pressione delle corde sulle sellette. Altri tipi più convenzionali (dove le corde passano attraverso il blocco inferiore) offrono, al contrario, più angolo di incidenza e quindi più pressione sulle selle e quindi maggior sustain.
Lunghezza del diapason (o della scala)
La lunghezza della scala, o diapason, è la lunghezza della corda, dal capotasto alle selle del ponte. Tradizionalmente le chitarre si dividono in due scale: 24 3/4" (Gibson) e 25 1/2" (Fender). Ma altre scale intermedie sono utilizzate da altri costruttori. Le PRS hanno una scala intermedia da 25", ad esempio. Spesso e volentieri i chitarristi si abituano ad una scala e non suonano strumenti con diapason diversi. I turnisti, invece, sono spesso costretti ad utilizzare chitarre diverse come sonorità e quindi sono più consoni ad abituarsi all'uso di chitarre con diapason differenti.


La scelta di PRS, come affermato dal costruttore, è nata per favorire i musicisti attraverso una scala di lunghezza intermedia. Naturalmente anche il suono è "intermedio" e meno personalizzato. La scala della chitarra, oltre a determinare la distanza tra tasto e tasto, influenza anche la timbrica generale dello strumento. Scala più lunga significa anche maggior tensione delle corde che determinano "bassi" chiari e note acute con limpidezza da campana. Insomma, il suono è più definito, rispetto ad una scala corta.


Di contro uno strumento con scala corta risulta più facile da suonare: le corde hanno meno tensione ed i binding risultano meno faticosi e  i vibrati più "gestibili". Inoltre i suoni risultano più immediati ed anche più precisi ed articolati. Anche i toni medi vengono enfatizzati da questa scala. Ma che lo dico a fare...tutti quantii avrete suonato una Telecaster ed un Les Paul: inutile enfatizzare caratteristiche note a tutti. :-)


Fino a qualche decennio addietro non si poteva sbagliare: tutti noi eravamo a conoscenza della diversità del diapason. Negli anni le cose sono cambiate con l'avvento di nuovi produttori che hanno proposto strumenti diversificati come forme, elettroniche, pick up e chi più ne ha più ne metta. Se non sapete che scala utilizza il vostro strumento non vi resta che misurare la distanza dal capotasto al dodicesimo tasto e moltiplicare per due. La cosa non migliorerà il "tone" della chitarra ma almeno saprete il suo diapason cosicchè potrete anche dorrmire sonni tranquilli :-)
Pickups
Argomento estrapolato dall'articolo :-) Troppo lungo per farcelo stare dentro. Ne redigo un articolo a parte con la promessa che vi dirò tutto quel che so sui pick up facendovi anche partecipi della costruzione di un pickup a partire da zero. Inoltre demistificherò l'aggettivo "artigianale" con tutte le fesserie che ci stanno dietro a questo businnes. Di artigianale, in un pickup non c'è proprio una cippa, anche nel caso di avvolgimenti a guida manuale, come venivano avvolti nei tempi gloriosi. Stay in tune, che ne vedremo delle belle (e tante balle)...
Elettronica in genere
Chi ha vissuto (chitarristicamente) come me gli anni settanta, si ricorderà certamente l'avvento di preamplificatori, equalizzatori ed una miriade di selettori inutili che erano presenti in molte chitarre "innovative" di quegli anni. Anche strumenti di prestigio venivano massacrati per farci stare tutti gli ammenicoli possibili immaginabili tendenti a peggiorare i suoni esistenti.

Anch'io non ne fui immune e, come tutti, feci le mie belle vaccate modificando il modificabile
, perchè "faceva figo" avere una chitarra piena di levette :-)  In realtà precedetti tutti: sulla mia prima Eko (1964) non c'era piu spazio: Era diventata una centrale elettrica tanto che, ai tempi, mi appiopparono il soprannome di "Marconi"...

Di fatto l'idea comune era quella che i legni della chitarra non servissero ad altro che a sostenere pickup, potenziometri ed una quantità infinita di levette inutili :-)  Fortunatamente negli anni ottanta le cose cambiarono: i legni ripresero la loro indubbia importanza, i musicisti riscoprirono la semplicità di avere pochi suoni ma buoni e tutto ritornò, o quasi, alla normalità. Ma ecco che di nuovo il diavolo ci mise lo zampino. Un diavolo dal nome EMG.

L'avvento di questi nuovi pickup attivi a bassa impedenza,
in combinazione con preamp a rack, finali a rack, multieffetti a rack, microonde a rack e quant'altro fosse possibile portare al formato rack 19", creò di nuovo scompiglio tra i musicisti. La guerra era a chi aveva il rack più grosso, anche se di Midi pochi ne capivano ed ancor meno sapevano come programmare decentemente una macchina programmabile con quel linguaggio da tastieristi. (Che poi tornarono quasi tutti a tecnologie più rozze ed immediate, come le vecchie care testate ed i pedalini analogici).

Ma indubbiamente i pickup attivi, pur nell'anonimità del loro suono, qualcosa di buono portarono: un segnale senza rumore di fondo e ben sfruttabile per successive elaborazioni, utilizzando anche gli accessori da posizionare nello strumento quali booster, effetti di presenza ed altro.

A tutt'oggi resistono ancora molti amatori di questo genere di pickup: per tutti gli altri, amanti dei pickup passivi, rimane il tradizionale pot dei toni e qualche schema per splittare e mettere fuori fase le varie bobine dei trasduttori.

Per quanto riguarda il semplice controllo di tono c'è da dire che i valori usuali variano da 0.022 microfarad a 0.047 microfarad. Personalmente preferisco l'utilizzo di condensatori da 0.022 microfarad che, a mio parere, non tagliano troppo le frequenze acute.

Ma è un parere soggettivo e quindi opinabile. Di fatto, utilizzando condensatori di valori diversi, si altera anche il suono della chitarra. Ma il tutto è facilmente reversibile intervenendo con due semplici saldature sul circuito.

Orecchie esoteriche fanno notare che anche la composizione e tipo di condensatore può alterare il "tone" della chitarra. Personalmente, a tono completamente aperto, non ho mai notato differenze apprezzabili. Ma può essere che le mie orecchie ormai non apprezzino più le sottigliezze, vista l'età. Di fatto un condensatore devia una parte del segnale a terra e credo che, nello stabilire la differenza timbrica tra due condensatori di diverso materiale, giochi molto l'effetto placebo...

Per quanto riguarda i potenziometri, che sono l'ultimo anello prima che il segnale venga spedito all'amplificatore, vale la pena precisare alcuni dettagli importanti. Sui single coil tradizionalmente vengono montati pots da 250 kohm mentre sugli humbucker normalmente pots da 500 kohm....e tutto funziona bene.

Senonchè su molti modelli Gibson vengono utilizzati pots da 300 kohm che tagliano notevolmente le alte frequenze degli humbucker. Non ho dubbi nel consigliare l'immediata sostituzione di questi potenziometri: lo strumento godrà di più spazialità mentre il musicista godrà e basta.

E per strumenti che montano sia single coil che humbucker? Personalmente detesto il suono dei single coil "passati" attraverso i pots da 500 kohm. Preferisco di gran lunga un humbucker più chiuso che 2 single coil taglienti.

Ma c'è anche la possibilità di modificare il circuito di una eventuale Strato con due volumi ed un tono in comune: un volume da 250 kohm per i single ed uno da 500 kohm per gli humbucker, Roba che avevo già postato su altri lidi...

Ultimo ma non ultimo per importanza: Le tolleranze dei potenziometri sono molto larghe e quindi, almeno per il volume, controllate con il tester che sia di valore adeguato. Su potenziometri, anche blasonati, è facile trovare scostamenti in più o in meno del 20%. Potenziometri da 250 kohm potrebbero avere una resistenza reale da 200 o 300 kohm, con importanti tagli o accentuazioni di frequenze alte. Non dimenticatelo mai, nel momento di una sostituzione.
Finiture
Alcuni costruttori e liutai ritengono che il tipo di finitura contribuisca, in qualche modo, anche al "tone" definitivo di una solidbody.

Senza entrare nel merito dei tipi di verniciatura (argomento già trattato in altro articolo) la disputa sulle differenze sonore ricade normalmente sulla durezza della patina superficiale di laccatura e sullo spessore della vernice. C'è chi sostiene che più la vernice è rigida più lo strumento suoni meglio. Altrì sostengono il contrario.

A parer mio qui si entra nel campo delle pippe mentali dove non c'è nulla di dimostrabile. Io non ho un parere in merito: a volte mi capitano strumenti verniciati in poliuretano che suonano alla grande, altri in nitro che depositerei nel camino, altri in poliestere che pure suonano alla grande.

Di certo un'equazione vincente esiste: meno vernice = più vibrazioni nel corpo e nel manico. Sarà meglio? Sarà peggio? Io, per non sbagliare, cerco di metterne il meno possibile.
Conclusioni
Una serie di tre articoli serve a tirare delle conclusioni riguardo l'interazione di un singolo componente rispetto ad una solidbody? Una solidbody è uno strumento complesso, ogni particolare interagisce con un altro e stabilire quanto e come sia importante una parte rispetto ad una altra non è così facile. Ma, se si parte con un pò di conoscenza in più, magari si possono evitare errori ed acquisti affrettati non confacenti alle nostre esigenze.

Anatomia Solid Body

Il fascino indiscutibile della chitarra ha raggiunto il culmine e la sua popolarità grazie anche all'avvento della versione elettrica. Anche la sua evoluzione, come nel caso dello strumento acustico, ha avuto luogo negli USA. Fondamentalmente, una caratteristica accomuna ogni modello di chitarra elettrica: il pick-up. Questo è il cuore dello strumento, almeno nella sua fase di elaborazione del suono. Infatti, il pick-up ha il compito non irrilevante di convertire quella che è la vibrazione delle corde in segnale elettrico, che sarà poi processato dall'amplificatore e riconvertito in suono fisico.
Due sono le principali versioni della chitarra elettrica: a corpo pieno (solid-body) e a cassa vuota (hollow-body). Inizieremo a trattare il primo caso.
A livello storico, la chitarra solid-body è la derivazione (negli anni 20-30 del secolo scorso) delle chitarre acustiche alle quali venivano montati i primi modelli di pick-ups. L'esigenza di questo era data dal bisogno di più volume da parte della chitarra, specialmente nelle orchestre con tanti elementi dove, è facile intuirlo, il suono della acustica veniva soffocato dal volume degli alti strumenti. Il problema che comunque si verificava era nel fatto che le tavole sulle quali venivano montati i pick-ups non erano molto stabili e si muovevano alla vibrazione della corda, oppure innescando un effetto audio chiamato feedback. Nella chitarra elettrica a corpo pieno la massa del corpo è talmente elevata da ridurre notevolmente la capacità di trasmettere le vibrazioni. Vi chiederete se questo sia un bene: è ovvio che il legno deve vibrare, e infatti un buon corpo solid-body riesce a mantenere una buona dose di vibrazioni armoniche, evitando comunque l'instabilità tipica di uno strumento acustico, che, come abbiamo visto, può essere amplificato in ben altri modi.
Un'altra delle caratteristiche del corpo pieno è sicuramente il fatto che questo può assumere forme particolari, praticamente impossibili da rilevare sulla chitarra acustica, obbligata da certi criteri di progettazione per poter avere una buona risposta timbrica.
Il legno impiegato nella costruzione di una solid-body deve essere ben duro, essicato a forno oppure stagionato; ad esempio, ottimi legni sono il mogano, l'ontano, l'acero, il frassino e il noce. Negli ultimi anni, la sperimentazione a portato alla costruzione di corpi in materiale alternativo, quali la fibra di carbonio, il metallo o addirittura il vetro (non sempre, comunque, con risultati soddisfacenti). Bisogna sempre tenere conto del fatto che il materiale con cui è fatto il corpo, sia esso vuoto o pieno, conta comunque sulla resa sonora dello strumento. E anche il manico vuole la sua parte di responsabilità in questo. Da qui la possibilità ad esempio di manici in legno o altri materiali, come la grafite per le chitarre Steinberger, tanto amate da molti (compreso il sottoscritto, che ne è un utilizzatore forsennato da anni), ma anche tanto odiate (forse più che altro per la mancanza della paletta).

Analisi della chitarra elettrica

Passiamo ora ad analizzare le parti che compongono una comune chitarra elettrica.
Nella figura a fianco possiamo vedere gli elementi più importanti di una chitarra solid-body. Il modello rappresentato è molto probabilmente il modello più famoso di chitarra elettrica che ci sia mai stato, ovvero la Fender Stratocaster., nella versione anni '90, definita American Standard.
Tutte le parti che diversificano la solid-body elettrica dalla chitarra acustica si trovano praticamente nel corpo dello strumento. Anche il manico presenta delle differenze, ma la metodologia ne rimane invariata. Osserviamo quindi le parti che compongono il corpo, incominciando dal body stesso.

Il Body

Come già accennato in precedenza, il corpo della chitarra elettrica risulta fondamentale sia da un punto di vista estetico che da quello timbrico. Esso ospita tutte le parti che dovranno permettere allo strumento di comunicare con l'amplificazione le informazioni sonore, quali i pick-ups, i controlli di tono e volume, il selettore dei pick-ups e la presa jack, di cui parleremo dopo.
Solitamente il corpo può essere composto da un unico blocco di legno, lavorato nella forma desiderata, sul quale sono praticati gli intagli necessari ad ospitare le varie parti, tra cui gli alloggiamenti dei pick-ups e dei circuiti elettrici. Di seguito viene verniciato per poter raggiungere la colorazione finale.
Un altro tipo di corpo può essere formato da due parti. A quella inferiore viene sovrapposta una tavola più fine (chiamata "top"), solitamente di legno diverso.
Un  altro tipo di corpo può essere formato da due pezzi laterali che si uniscono ad una parte centrale, la quale fa parte del prolungamento nel manico dello strumento.
Fondamentalmente sono queste le tre filosofie costruttive, di cui le prime due molto comuni nelle chitarre solid-body.
Una caratteristica molto importante è data dal fatto che il body è composto da una o due spalle mancanti, nella figura viste come spalla superiore e inferiore. La spalla mancante (nel caso che sia presente una sola sarebbe quella inferiore) facilita l'accesso alle zone più alte della tastiera. Ed infatti, solitamente sulla chitarra elettrica la tastiera viene usata nella sua totalità, a seconda abbia essa più o meno tasti, come vedremo dopo.

Il Manico

Le tecniche di costruzione del manico non differiscono, come filosofia base, da quelle già viste per il manico della chitarra acustica. La differenza è principalmente nel fatto che sullo strumento elettrico si suona anche dopo il dodicesimo tasto. Questo comporta quindi una buona accessibilità alle zone alte della tastiera, data dall'utilizzo delle spalla mancante. La tastiera del manico, inoltre, è più lunga rispetto a quella di una chitarra folk. Infatti può avere 21, 22 o 24 tasti, tutti accessibili.
Inoltre, montando corde adeguatamente più piccole e morbide rispetto alla acustica, risulta più stretta come dimensioni, anche se le misure cambiano a seconda del modello di chitarra.
Per quanto riguarda la paletta, le forme possono essere svariate. Di solito montano tre meccaniche indipendenti per lato, oppure utilizzano un sistema tipo Fender, con le sei meccaniche tutte sullo stesso lato. Le chiavi, sempre indipendenti l'una dall'altra, utilizzano lo stesso sistema visto per la chitarra folk.




Bolt On
Set In


Come potete vedere nella figura sopra, metodi per congiungere il manico al corpo sono praticamente due, e cioè il manico incollato o il manico avvitato. Esistono tutt'oggi due schieramenti opposti sul sistema migliore di giuntura del manico. Da una parte troviamo i sostenitori del manico incollato ad incastro, che permette un migliore sustain alla vibrazione delle corde, grazie al fatto che la giunta alla fine diventa un blocco unico, come lo è, tra l'altro, per la chitarra acustica. Altri invece sostengono che comunque un manico avvito è garanzia di sicurezza e stabilità, ammettendo che un po' di sustain viene a perdersi. Di mezzo, possiamo dire che entrambi i sistemi sono validi, in quanto, alla fine, conta anche tutto il resto del materiale con cui è composta la chitarra, diventando così una scelta molto personale. Tutt'al più, possiamo risolvere il problema avendo più modelli diversi di chitarre, sempre per fare felice il nostro portafoglio...
Concludiamo spendendo due parole sulla barra di rinforzo del manico, le cui caratteristiche tecniche le abbiamo già viste nella sezione acustica. La regolazione della barra può portare a rilevanti problemi nel caso si utilizzi frequentemente, e con buona energia, la leva del ponte tremolo. Occorre quindi fare le opportune scelte di tensione del manico in merito anche a questo motivo. Nel caso siate acerbi su come regolare il manico, il consiglio è di lasciare fare agli esperti.

Storia della Chitarra Elettrica

Il Problema del Volume

Da sempre la chitarra ha dovuto confrontarsi con il volume degli altri strumenti musicali quando suonata assieme a questi. Negli anni ruggenti del Jazz tale confronto divenne impari, data anche l’assenza di impianti di amplificazione degni di questo nome. A ciò si deve anche la popolarità in quel periodo di strumenti alternativi quali il banjo e la chitarra resofonica, più nota col nome del marchio Dobro (“DOyopera BROthers”), dotata di un cono risonante.
Ma non si tratta solo dell’esigenza di “farsi sentire”: la limitata emissione sonora condiziona l’esecuzione e addirittura la scrittura del pezzo. Frasi melodiche “a corda singola” sono praticamente inaudibili e salvo rarissime eccezioni non fanno quindi ancora parte del vocabolario espressivo di un chitarrista. È Eddie Durham che per primo piazza lo strumento di fronte a un microfono dal vivo e registra il solo di “Hittin’ the Bottle” a corda singola.

La Chitarra “Archtop”


Un approccio destinato ad avere vita più lunga fu quello della chitarre Arch Top, una forma mutuata dagli strumenti ad arco ed in particolare dal violoncello. Caratteristica principale, oltre alla tavola armonica arcuata, è la sostituzione della classica “buca” con le caratteristiche aperture ad f. Dei tanti modelli realizzati ed ancora prodotti, una menzione particolare spetta alla Gibson L5 del 1922, utilizzata da Freddie Green nell’orchestra di Count Basie.

La “Frying Pan” di Rickenbacker


Il primo strumento ad avvalersi di un’amplificazione elettrica fu però una “slide” o “steel guitar”, da noi nota con l’espressione “chitarra hawaiana”. È George Beauchamp ad inventare nel 1931 il primo pickup magnetico, un trasduttore che converte le oscillazioni meccaniche delle corde in una tensione elettrica idealmente proporzionale. Lo strumento, in seguito prodotto da Rickenbacker, diviene universalmente noto col nomignolo di “Frying Pan”, la “Padellina”.

Bigsby “Merle Travis”


Nello storico prototipo di Bigsby del 1948 si trovano curiosamente alcune anticipazioni degli strumenti che verranno: dalla cassa a spalla mancante della Gibson Les Paul alla tipica paletta Fender. E naturalmente, primo tra tutti l’applicazione del concetto della Cassa Piena, la cosiddetta Solid Body. In realtà la paternità della forma della paletta è alquanto controversa: questo è il secondo esemplare costruito e può essere stato influenzato dalle Fender. La forma della paletta identifica il produttore ed è quindi sempre depositata.

I Pickup Magnetici


Pickup “Single Coil”    Pickup “Humbucking”
La stragrande maggioranza delle centinaia di pickup oggi disponibili sono riconducibili a due tipologie base:

- Single Coil, cioè a bobina singola;
- Humbucking, cioè “elimina ronzio”, a bobina doppia.

Il suono dei primi è aperto e metallico, quello dei secondi chiuso e caldo. L’invenzione nel 1955 degli humbucking si deve a Seth Lover della Gibson.
Orville Gibson fonda la sua società nel 1894. Nel 1935, la casa inizia ad interessarsi seriamente all’elettrificazione; il pickup sviluppato in quell’anno da Walter Fuller equipaggia 1936 la ES 150 (“Electro Spanish”), prima chitarra elettrica ad essere prodotta e commercializzata in serie; nella mani di Charlie Christian,    straordinario    chitarrista    di    Benny Goodman, lo strumento inizia ad imporsi.

Gibson ES 175


I primi strumenti di successo sono quindi sempre elettrificazioni di chitarre arch top esistenti (da qui l’identificazione di tale tipologia con il Jazz che perdura ancor oggi), ma nel 1949 la Gibson ES 175, la più antica chitarra elettrica ancora in produzione, nasce unicamente in tale versione. Ed è Barney Kessel il primo musicista ad utilizzare lo strumento sempre amplificato e non solo durante gli assoli.

Fender


Nato a Fullerton, California, Leo Fender si era interessato fin da giovane all’elettronica. Completati gli studi in Economia avviò un’attività per la riparazione di apparecchi radio, che nel 1947 fu trasformata in azienda per la produzione di steel guitar e amplificatori. In quel periodo prende corpo l’idea originale di una chitarra elettrica solid body.

Fender Telecaster


Con una struttura semplice e insieme geniale, la Telecaster (1950) ha attirato l’interesse di generazioni di chitarristi. La costruzione separata di manico e corpo e la loro unione per mezzo di viti (manico bolt- on) abbatte i costi di produzione, rendendo accessibile a molti l’acquisto di uno strumento di qualità; la sezione a “V” del manico permette di scavalcare con la tastiera e premere con il pollice le corde basse, mentre il corpo in frassino massiccio elimina il feedback e dà al suono la pulizia dell’acciaio.

Fender Stratocaster


A questa rivoluzione seguì l’introduzione della Stratocaster nel 1954, inconfondibile per versatilità sonora e vera icona del Rock & Roll. L’impianto è sostanzialmente simile a quello della Telecaster, con l'aggiunta di un terzo pickup: ma a far diventare la “Strat” (da noi “Strato”) una vera icona culturale furono le linee moderne del suo design (che ricorderanno le auto dell’epoca anche nei colori) e la sua ergonomia complessiva.

Anatomia della Stratocaster


L’altra notevole innovazione nella “Strato” è rappresentata da ponticello con Vibrato (da Fender impropriamente chiamato Tremolo) molto più preciso ed efficiente di quello dei predecessori (Bigsby, etc.).

Fender e la Rivoluzione del Colore


Ma Fender introduce un’altra innovazione destinata ad avere un profondo influsso sul costume: dipinge i suoi strumenti con i colori per auto DuPont (come il famoso Fiesta Red), cosa “oltraggiosa” per l’epoca.

L’Amplificatore


Si è già detto che l’amplificatore per chitarra non è un apparato Hi-Fi ed i primi ad intuirne la specificità, quasi fosse anch’esso uno strumento, sono stati gli inglesi. Modelli come il VOX AC 30 (usato dai Beatles all’inizio della carriera) sono entrati nella storia, ma è stato Jim Marshall ad aver creato un mito.
E ancora oggi i migliori amplificatori non sono realizzati con la tecnologia a stato solido (transistor e circuiti integrati) ma con le ormai obsolete valvole termoioniche: questo sia per ragioni tecnicamente oggettive sia per un certo conservatorismo di fondo dei chitarristi, di cui si avrà ancora modo di parlare.
Fino alla fine degli anni ’60 era prassi comune per i chitarristi utilizzare l’amplificatore che trovavano sul posto. È Jimi Hendrix il primo a portarsi in aereo una serie di Marshall dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti e a utilizzarli nei suoi concerti (nella foto, l’apparizione a Woodstock) come parte integrante dello strumento.

Due Parole sugli Effetti


Riverbero, Distorsore, Wah, Flanger, Chorus: in ordine di introduzione, questi sono solo alcuni degli effetti che i chitarristi hanno usato per ampliare il proprio ventaglio sonoro. E David Gilmour dei Pink Floyd deve molto del suo sound originale all’eco Binson costruito negli anni ’60 in Via Padova a Milano dall’ing. Bini.

Les Paul


Grande chitarrista Jazz ma anche geniale inventore (il primo registratore a 8 tracce fu progettato da Les Paul e prodotto dalla Ampex nel 1956), Lester William Polfuss (Les Paul) entra in contatto con la Gibson nel 1950 e vi porta subito contributi originali. La risposta alle solid body di Leo Fender è ormai in arrivo.

Gibson Les Paul


Nel 1952 Gibson reinterpreta il concetto di solid body senza dimenticare la propria tradizione di alta liuteria. Il manico è quindi incollato alla cassa solida, che è bombata come la tavola di una arch top; la paletta è inclinata all’indietro di 17°. Nella versione “Standard” i pickup sono gli humbucking di Seth Lover.
La Les Paul Standard” è del 1957; lo strumento è pregevole ma pesante e costoso e non riscuote molto successo, tanto che nel 1960 esce di produzione.

Gibson “Flying V”


Una linea ancora oggi futuristica, ma Gibson la sviluppò nell’ormai lontano 1957. Il prototipo era in legno di Korina, simile al mogano ma più leggero. Il ponticello è il classico brevettato Tune-O-MaticTM.
Negli anni ’60 importanti artisti di allora come Albert King, Dave Davies e Jimi Hendrix, alla ricerca di un look distintivo e controcorrente, iniziarono ad usare le prime Flying V.

Gibson ES335


Nel 1958 Gibson compie coniuga i pregi delle arch top e delle solid body in un unico strumento: la ES 335, la prima Semi-Hollow (o semiacustica). All’interno della cassa, vuota, è inserito un blocco massiccio cui sono ancorati ponte, attaccacorde e pickup. Il feedback è ridotto e il timbro è caldo.

Il Ritorno della Les Paul


Negli anni successivi, Jimmy Page ed Eric Clapton amplificano la Les Paul con dei Marshall: nasce il timbro dell’Hard Rock. La chitarra è quasi introvabile ed i prezzi dell’usato salgono alle stelle; finalmente, nel 1968 Gibson ne riprende la produzione.

Rickenbaker 325


Gibson SG Standard    Steinberger GL    Yamaha SG2000
Da citare l’eleganza della Gretsch “White Falcon”, la Rickenbaker 325 usata da John Lennon, le tante Gibson SG usate dagli artisti Hard Rock, la minimalista Steinberger in grafite e la Yamaha SG2000, primo di una lunga serie di strumenti giapponesi di classe (tra i quali sono da menzionare i numerosi modelli Ibanez).

“Non le Fanno più Come una Volta”


Nel 1962 Leo Fender vende la sua azienda alla CBS e lentamente la qualità della produzione degrada; anche la Gibson alcuni anni dopo passa di mano. La cosa darà spazio negli anni ’80 a produttori indipendenti, quali Paul Reed Smith (rappresentata la sua PRS Custom del 1985). Parallelamente, si rafforza il mito degli strumenti di annata o vintage, nato al tempo dell’uscita di produzione della Les Paul Standard. E nel 1985 gli ex-dipendenti Gibson rilevano lo storico
stabilimento di Kalamazoo fondando The Heritage. 


E l’Acustica Diventa “Elettrica”


All’inizio degli anni ’60 Charles Kaman, ingegnere areonautico progettista di elicotteri e chitarrista dilettante, inizia a produrre strumenti con cassa bombata in materiale composito grazie alle conoscenze accumulate nel campo delle vibrazioni.
E verso il 1967 le sue Ovation sono le prime chitarre acustice ad essere dotate di un pickup piezoelettrico al ponte: per lo strumento mantiene il suo timbro acustico originale anche quando viene amplificato.

Gli Anni ’80 e ’90


Negli anni ’80 e ’90 molti liutai indipendenti iniziano con alterne fortune la produzione di strumenti musicali, spesso ispirati se non identici ai classici modelli Gibson e Fender. Tra questi sono da citare:

David Thomas McNaught; ␣ Roger Sadowsky; ␣ Brian Moore (noto per gli strumenti MIDI); ␣ Ned Steinberger.
L’ultimo menzionato è il più innovatore e utilizza materiali compositi; il conservatorismo di fondo dei chitarristi però non fa decollare il prodotto.

Parker Fly DeLuxe


Nel 1993 Ken Parker, un liutaio estremamente innovativo ed amante del design, introduce la sua Fly DeLuxe. La chitarra è estremamente leggera e risonante (legno di pioppo rivestito di un sottile strato epossidico) e ha sonorità che ricordano la ES 335. Ma incorpora anche un pickup piezoelettrico Fishman al ponte per rendere un timbro acustico: lo strumento ha quindi due diverse uscite, una dedicata all’amplificazione elettrica ed una a quella acustica.

Sadowsky Semi-Hollow


Questa recente chitarra (2006) di Roger Sadowsky è una reinterpretazione del concetto di semiacustica nato con la Gibson ES 335 (e le successive versioni 345 e 355). La tavola è in multistrato giapponese ed il blocco centrale è molto alleggerito; il timbro, straordinariamente caldo, è paragonabile in tutto e per tutto a quello di una classica Arch Top o Hollow Body.

Strumenti Anticati


Complici le idiosincrasie dei collezionisti e le insicurezza dei giovani chitarristi, sia assiste ora al fenomeno commerciale della vendita da parte delle maggiori case produttrici di una linea di strumenti invecchiati artificialmente che spesso riproducono graffi ed ammaccature dei modelli posseduti da artisti famosi (nella foto la replica della Fender Telecaster utilizzata negli anni ’70 da Andy Summers dei Police).

Esemplari Unici


E sempre le maggiori case produttrici hanno da tempo istituito un Custom Shop, la “boutique” dove vengono realizzati esemplari unici su specifica ordinazione del cliente o per fini promozionali (nella foto la Fender Stratocaster “Star Trek”, realizzata col contributo degli artisti originali della Paramount, la cui custodia si apre solo con uno specifico telecomando).

Taylor T5


La T5 è la prima chitarra ibrida della Taylor che include due anime, acustica ed elettrica. Si tratta di uno strumento a corpo sottile dotato di un switch a 5 posizioni, tramite il quale è possibile spaziare da un suono acustico ad un elettrico vero e proprio.
L’elettronica installata nella chitarra è la Expression System della Taylor: pickup al manico, microfono dinamico al top ed il terzo ben visibile al ponte. Controlli del preamplificatore sulla tavola armonica.

Line6 Variax 500


Le chitarre della seria Variax, costruite da Line6, sono prive di pickup tradizionali ma contengono una sofisticata elettronica che consente di emulare la risposta di un numero notevole di strumenti diversi (incluse chitarre resofoniche, acustiche e 12 corde).
Anche Fender non sfugge alla tendenza e lancia la Stratocaster VG (“Virtual Guitar”) con Roland.

Un Grazie a Les, Jim e Leo
Les Paul e Jim Marshall (fotografati insieme al NAMM di Nashville) e Leo Fender: tre “grandi vecchi” cui tutti i chitarristi elettrici e la stessa musica moderna devono molto.

mercoledì 16 febbraio 2011

Stratocaster

Fender Stratocaster, abbreviata anche con Strato o Strat, è il più diffuso e famoso modello di chitarra elettrica solid-body (priva di cassa armonica). Assieme alla Gibson Les Pau è considerata la chitarra elettrica per antonomasia, per l'influenza esercitata sul panorama musicale e sull'immaginario collettivo.

Stratocaster 1956

Nascita e caratteristiche principali

Ideata e realizzata da Leo Fender nel 1953, la Fender Stratocaster è tuttora commercializzata senza differenze sostanziali rispetto al modello originale.
Nelle intenzioni di Fender, alla base della creazione di una nuova linea di chitarre che affiancasse il successo del modello Telecaster, c'era l'aspirazione a realizzare una chitarra che introducesse innovazioni sia di carattere tecnico (fra le quali un maggior numero di pick-up e l'introduzione della leva del vibrato), sia di carattere progettuale (l'abbandono della tradizionale forma della chitarra verso soluzioni più ergonomiche).
Il risultato è un progetto rivoluzionario: grazie alla forma innovativa, alla leggerezza dello strumento, alla maggiore facilità ad accedere alle note più acute della tastiera dovuta alla particolare forma scavata della spalla, la Stratocaster è considerata la più evoluta fra le chitarre elettriche dell'epoca.
Il montaggio di una leva vibrato di nuova concezione integrata nel corpo della chitarra, ha permesso di sfruttare effetti sonori, mantenendo un notevole sustain. Inoltre la nuova concezione del ponte con sellette regolabili per lunghezza ed altezza delle corde, permette una regolazione accurata dello strumento.
Una ricerca attenta fu eseguita nella disposizione dei pick-up, piazzando i due superiori perpendicolarmente alle corde, mentre quello al ponte presenta un'angolazione di circa 20 gradi in grado di enfatizzare i toni bassi.
Le modifiche immediatamente successive furono suggerite dai musicisti dell'epoca, che, spostando il selettore in posizione intermedia si accorsero che ne nasceva un suono nasale particolarmente interessante (tipico di due pick-up in parallelo). In seguito alle numerose segnalazioni la Fender nel 1977 sostituì il selettore a tre posizioni con uno a cinque posizioni che permette, in maniera semplice, di utilizzare anche 2 pick-up contemporaneamente. Questa è, in pratica, l'unica modifica tecnica considerevole al modello originale.
La prima Stratocaster su base commerciale è stata prodotta il 15 maggio 1954. Tra le Fender Stratocaster del 1954 è importante ricordare la "Hard-Tail" ovvero il primo prototipo della Stratocaster a ponte fisso, senza tremolo, progettato in circa 20 esemplari che divenne poi di serie in produzione limitata da fine marzo 1955.
A tutt'oggi la Fender Stratocaster rappresenta grazie alle sue peculiarità un punto di riferimento nel sound delle chitarre elettriche grazie alle scelte di Leo Fender tutte orientate a favorire un suono più squillante, come i pick-up a bobina singola e l'utilizzo di legni che enfatizzano le sonorità acute, contrariamente ai suoni più bassi e profondi tipici delle chitarre Gibson. Questo orientamento verso sonorità più brillanti nacque comunque anni prima, quando Leo Fender nel 1948 creò la prima chitarra elettrica "solid body" di produzione industriale (alcuni esperimenti erano stati condotti da altri liutai, ma mai messi in vendita), ovvero la Fender Broadcaster, successivamente evolutasi nei modelli Esquire, a singolo pick-up e Telecaster a due pick-up.
Nel 2006, da una collaborazione tra Fender e la nota casa giapponese Roland, è infine nata la Stratocaster VG che unisce alla classica tecnica costruttiva dei modelli USA-made, la versatilità del sistema di sintesi Roland (suoni campionati di vari modelli Fender, accordature non tradizionali, effetto 12 corde) pilotata da un pick-up esafonico connesso ad una complessa parte elettronica alimentata da una batteria 9v. Esteticamente la si riconosce per la presenza di una quarta manopola, un led blu indicante l'accensione dello strumento ed il pick-up esafonico a ridosso del ponte.



La diffusione dello strumento dagli anni cinquanta ad oggi

Jimi Hendrix Strat 1967
Negli anni cinquanta la Stratocaster era considerata una chitarra giovanile, rispetto agli altri strumenti musicali dell'epoca. La forma rivoluzionaria e le tonalità brillanti che la contraddistinguevano, la facevano considerare uno strumento interessante ma poco versatile, relegato a specifici generi musicali.
Nei primi anni sessanta il noto chitarrista statunitense Dick Dale iniziò a suonare musica "surf" con la Stratocaster, evidenziando le peculiarità dello strumento sui suoni acuti.
Hank Marvin, leader e chitarra solista del gruppo rock The Shadows, il gruppo britannico più influente prima dell'avvento dei Beatles, è stato il proprietario della prima Fender Stratocaster venduta in Inghilterra: con il suo caratteristico stile, dal sound personalissimo, tagliente e morbido allo stesso tempo, contribuì alla diffusione e all'affermazione di questo strumento.
Dal 1965 George Harrison e John Lennon la utilizzarono per molti pezzi fra cui Nowhere Man. Successivamente la Stratocaster ottenne grande notorietà grazie al chitarrista Jimi Hendrix, il cui stile ampliò enormemente le potenzialità espressive dello strumento.






Altri musicisti contribuirono alla popolarità della Stratocaster, fra i quali si possono citare: Richie Sambora, Stef Burns, Dave Murray, Eric Clapton, Yngwie Malmsteen, Stevie Ray Vaughan, Johnny Winter, Steve Hackett, Ritchie Blackmore, Jimi Hendrix, Mark Knopfler, Frank Zappa, David Gilmour, Kurt Cobain, Jeff Beck, Jeff Healey, John Frusciante, Dodi Battaglia, Max Cottafavi, The Edge, Eric Johnson e Buddy Guy.
Hendrix Stratocaster 1967
Negli anni settanta il suo suono brillante ottenne importanza nella produzione di musica funk e discomusic. Negli anni ottanta fu ampiamente utilizzata nella musica rock e pop per il contrasto fra la sua sonorità ed i suoni elettronici delle tastiere.
Negli anni novanta, la ricerca di sonorità vintage, rese la Stratocaster uno strumento comunque molto popolare nel rock ed in particolare nel Grunge.
La lista dei modelli in produzione è cresciuta molto negli anni: nei cataloghi del 1990 apparivano 31 diverse Stratocaster, 44 nel 1992.
Fino a pochi anni fa l'American Standard era il modello più diffuso, con l'ampliamento del listino e la concorrenza interna derivante dal sempre più importante stabilimento messicano di Ensenada, che produce strumenti di qualità a minor prezzo rispetto alla produzione americana, ha permesso una distribuzione delle vendite più omogenea, anche se molti musicisti preferiscono usare modelli "vintage", ovvero strumenti prodotti negli anni cinquanta e sessanta nel periodo d'oro dell'azienda chiamato pre-CBS spesso dal grande valore economico, oppure rivolgersi al "Custom Shop" Fender che realizza strumenti artigianalmente, formato da un gruppo selezionato di liutai e da un laboratorio separato dalla normale produzione. Il Fender Custom Shop prevede una serie di modelli a listino, ma permette la realizzazione di strumenti su specifiche fornite dal cliente, potendo eventualmente scegliere quale specifico liutaio incaricare, in questo caso si parla di Custom Shop Masterbuilt.


Tra le altre serie di Stratocaster molto diffuse ricordiamo le varianti "economiche" come le americane Highway One, le Standard o le Classic messicane, ovvero le versioni a basso costo rispettivamente delle standard e delle repliche Vintage americane, oppure i modelli "modernizzati" come le Deluxe, con pick-up Humbucker al ponte oppure con pick-up Samarium Cobalt Noiselessa cancellazione del rumore. Idea nata negli anni '80 (le cosiddette "Superstrat") dalla necessità di ampliare la versatilità sonora dello storico modello di casa Fender. A questo proposito si citano due chitarristi degli Iron Maiden, Janick Gers e Dave Murray, i quali usano Stratocaster dotate di ben tre Humbucker (due minihumbucker Di Marzio e un Superdistortion Di Marzio al ponte) insieme a un ponte di tipo Floyd Rose.
Altri modelli sempre più diffusi sono le Artist Series, modelli sviluppati in collaborazione con artisti come Eric Clapton (suo nel 1988 il primo modello signature prodotto dalla Fender), Jeff Beck, John Mayer, Yngwie Malmsteen, Eric Johnson, Buddy Guy, Robert Cray, Mark Knopfler e molti altri.
Elemento che può provocare confusione è il fatto che nei propri cataloghi la Fender indica come Vintage (o Reissue) qualunque chitarra di produzione contemporanea che, in una certa misura, ricalchi le caratteristiche costruttive dei modelli del 1957 e del 1962, e come Custom qualunque chitarra (anche prodotta industrialmente), che presenti qualche modifica rispetto al modello principale.